Stazione di lavoro open source: a che punto siamo?

L’ultimo studio prodotto all’inizio del 2020 dalla CNLL ha mostrato che “per il settore del software libero in Francia si prevede una forte crescita di quasi il 9% all’anno fino al 2023,superiore alla crescita media del mercato IT che è di circa il 4% nel 2019-20. In quasi l’80% delle imprese, l’uso dell’open source aumenterà nei prossimi due anni. »

Secondo il barometro annuale di Red Hat, che fornisce una panoramica dell’open source in azienda, questi software sono sempre più presenti nelle organizzazioni. Dovrebbero anche “superare il software proprietario entro due anni.”  Secondo Red Hat, il software proprietario sta perdendo popolarità perché le licenze sono costose e rigide, e i produttori vincolano le aziende.

L’Open Source ha iniziato la rimonta dai livelli dell’infrastruttura verso gli applicativi e l’utente finale, ma oggi è realistica l’idea di una workstation completamente Open Source? A che punto siamo veramente? Quali sono i motori e i freni in azione?

Il vincolo utente

All’inizio di gennaio 2020, Florence Parly, ministro francese delle Forze Armate, ha analizzato nella Gazzetta Ufficiale del Senato (09/01/20) la possibilità di una “ stazione di lavoro completamente libera”. Questo annuncio ha fatto seguito al rinnovo di un contratto tra… Microsoft e il Dipartimento della Difesa. Contratto rinnovato senza gara e nonostante i numerosi pareri sfavorevoli da parte di esperti di sicurezza e sovranità (Zdnet). 

Il ministero sta quindi conducendo uno studio per dotarsi di una workstation completamente libera (sistema operativo e software per ufficio) … continuando tuttavia a firmare grandi contratti con produttori privati degli Stati Uniti.  

Oltre alle competenze commerciali (e di lobby.. ) di questi giganti, perché il software libero stenta ancora ad imporsi per la postazione di lavoro?

Perché la spina nel piede dell’Open Source è l’utente. O meglio quella che in inglese viene chiamata “usability”: il grado di facilità d’uso e di apprendimento del software. L’Open Source fa paura perché è un ambito di sviluppo per gli sviluppatori e gli utenti ritengono che non sia adatto per loro perché utilizzabile solo dagli informatici

Ciò è particolarmente vero nel settore della posta aziendale, un settore dominato dalle abitudini degli utenti. Infatti, la posta elettronica è e rimane il canale di comunicazione più utilizzato quotidianamente, quello che vede passare tutte le informazioni critiche di un’organizzazione (fatture, ordini, appuntamenti, documenti, informazioni chiave…). È impossibile per un CIO alienarsi gli utenti su questo tema con il rischio di avere un impatto negativo sulla produttività.

Costruire una valida alternativa ai principali produttori statunitensi non è solo una battaglia di sovranità o di tecnologia. In Europa, disponiamo di un potenziale eccezionale di competenze. Tuttavia, il principale motore del cambiamento è umano più che tecnico. La transizione verso un sistema digitale più sano non avrà successo se viene fatto a spese di chi lo utilizza: può essere preso in considerazione solo con loro, mettendo il comfort dell’utente al centro del gioco. Questa constatazione, parlando di applicazioni per gli utenti finali,   ci costringe a ripensare il modello di business “tradizionale” dell’Open Source, al fine di metterlo al servizio di una migliore esperienza utente.

Il modello di servizio Open Source, adatto all’utente?

Il modello classico e storico dell’Open Source è il “modello di servizio”, si tratta di fornire e vendere servizi per uno o più software Open Source (disponibili grezzi su Internet, che li si sviluppi o meno): installazione, integrazione, manutenzione, supporto, formazione, consulenza…

Questo modello è ampiamente sperimentato per lo sviluppo delle fondamenta tecnologiche digitali: infrastrutture, componenti tecniche, sistemi, reti e middleware. Lo sviluppo condiviso e la condivisione di competenze tra i tecnici, ci hanno permesso di sviluppare, e nel contempo standardizzare, aree come Internet o, più recentemente, il DevOps.

Tuttavia, come spiega sul suo blog l’Open Source Initiative, il modello storico dell’Open Source non funziona bene per le applicazioni utente perché l’attenzione tradizionale dei progetti Open Source non tiene sufficientemente conto dell’utente finale, poiché si concentra principalmente sulla qualità e sulla potenza del software per risolvere un determinato scopo tecnico: “Open Source, per sua stessa natura, è costruito da sviluppatori per gli sviluppatori. Ciò significa che, mentre i principali consumatori di software libero sono gli utenti finali, non hanno praticamente voce in capitolo nell’evoluzione del progetto. […] Gli utenti spesso non sanno quello che vogliono e, anche se lo sanno, non possono formularlo in termini tecnici, il che significa che qualsiasi sviluppo di prodotto incentrato sull’utente comporta ricerche estese e costose sul prodotto, che va ben oltre qualsiasi progetto open source.”

Per sperare di attrezzare le postazioni degli utenti, l’Open Source deve cambiare approccio: spostare l’attenzione dal miglioramento tecnico al  miglioramento dell’interazione utente.

La professione di produttore Open Source: una nuova dimensione

Con i suoi vecchi cliché di geek barbuti che sviluppano codice segretamente in fondo a un garage, l’Open Source ha ancora a volte difficoltà a fare comprendere la logica economica sottesa. Il software libero è una filosofia di sviluppo basata sulla condivisione, l’aiuto reciproco e la trasparenza, ma non è un prodotto confezionato, pronto per essere venduto sullo scaffale.

“Se il software richiede la configurazione di 20 opzioni separate per essere utilizzabile, ha accumulato un debito UX troppo rilevante per essere utilizzabile dalla maggior parte degli utenti, perché richiede una conoscenza specializzata che solo un numero limitato di persone ha,” spiega  Máirín Duffy, Senior Principal Interaction Designer di Red Hat.

È solo facendosi carico di questo “debito UX” che il software Open Source sarà finalmente in grado di salire dai livelli di infrastruttura all’utente finale. Come fare? “Dobbiamo accettare il nostro compito!” Pierre Baudracco, Presidente di BlueMind e co-presidente del CNLL (Conseil National du Logiciel Libre), “Siamo editori di software open source. Non vendiamo codice sorgente, vendiamo soluzioni. E la differenza è enorme”

La differenza con il modello tradizionale è l’attenzione posta sugli utilizzi. In BlueMind, offriamo una soluzione di messaggistica collaborativa Open Source. La messaggistica era un servizio che si discuteva e decideva tra tecnici (responsabili SI, amministratori di sistema e di reti, …): prestazioni, larghezza di banda di rete, architettura, ecc. A condizione che i messaggi partissero ed arrivassero correttamente l’utilizzo era garantito. Da allora il servizio si è diffuso (è diventato di gran lunga il servizio più utilizzato nel mondo professionale ed è in continua crescita), ha raggiunto tutte le persone in tutte le organizzazioni ed è stato arricchito funzionalmente. È uscito dal mero perimetro tecnico e, di conseguenza, le discussioni sui servizi di posta riguardano ora gli aspetti funzionali e di utilizzo (è possibile utilizzare Outlook? I VIP avranno accesso al loro calendario e alle condivisioni dai loro telefoni cellulari? L’interfaccia web sarà ergonomica e ti permetterà di delegare la tua agenda? ecc.)

“La posta è utilizzata da tutti a tutti i livelli aziendali. Perché una soluzione Open Source per avere la possibilità di competere con i grandi leader americani, è essenziale che tenga conto degli utenti, che utilizzano principalmente Outlook. Rispettare la loro modalità d’uso significa essere in grado di supportare Outlook nello stesso modo trasparente di Microsoft Exchange. Significa anche consentire tutti gli scenari di utilizzo o di migrazione offrendo il miglior supporto per Thunderbird, Mac, cellulari, web, …).  Questo è quello che abbiamo fatto con la versione 4 di BlueMind”,   spiega il nostro direttore tecnico, Thomas Cataldo.

BlueMind è pensato come una soluzione completa e non come un semplice codice sorgente tecnicamente potente. È questa visione “editor di soluzioni” (anzichè “produttore di codice”) che permetterà di aumenterà “l’usabilità” e, per estensione, l’adozione di soluzioni Open Source per i dipendenti.

Essere un produttore è per il 20-30% sviluppo per produrre codice e per il resto lavoro intorno a questo sviluppo: test, documentazione, supporto di diverse versioni su diverse piattaforme, garanzia di continuità, supporto di scenari dei clienti, molti strumenti ausiliari, sviluppo dell’ecosistema …

Imparare a cambiare, un nuovo ruolo per la direzione SI?

Il passaggio a soluzioni Open Source è spesso vantaggioso in termini di tecnologia, di indipendenza e di costi, come evidenziato in particolare dallo studio Cigref pubblicato nel 2018. Tuttavia, è proprio la spinosa gestione del cambiamento a destare preoccupazione, sia a livello degli utenti finali che della stessa direzione dei SI.

La Francia, e come lei buona parte dell’Europa, si trova in una situazione analoga, come dimostra l’annuncio del ministro Florence Parly. La postazione di lavoro Open Source, al di là di una migrazione tecnologica, richiede soprattutto un’evoluzione di mentalità. L’utente da un lato, per il quale gli strumenti informatici sono elementi essenziali della sua produttività, teme i cambiamenti delle proprie abitudini. Il CIO, d’altra parte, deve assumere un nuovo ruolo, quello di agente di cambiamento.

Gartner prevede che entro il 2021 i CIO saranno responsabili del cambiamento culturale nelle loro attività tanto quanto i gestori delle risorse umane. “Molti CIO hanno capito che la cultura può essere un acceleratore della trasformazione digitale e che hanno i mezzi per rafforzare una cultura auspicata dalle loro scelte tecnologiche”, ha dichiarato Elise Olding, responsabile della ricerca di Gartner.

Naturalmente il CIO può svolgere e svolgerà un ruolo chiave nella trasformazione (che non avrà successo se il CIO si concentra esclusivamente sull’infrastruttura e sui server piuttosto che sugli utenti, il caso estremo rappresentato dalle organizzazioni che hanno costruito il loro cloud e solo dopo si pongono la domanda su cosa potranno metterci in modo da “giustificarlo”) ma se l’organizzazione e/o la direzione non sono essi stessi convinti e guida, sarà difficile (o impossibile?) per loro riuscirci!

E non mancano certo gli incentivi a livello di direzione!

Sta a ciascuno assumersi le proprie responsabilità e scelte!

Nel settembre 2019, Horst Seehofer, il Ministero degli Interni tedesco, ha chiesto alla società di consulenza gestionale PricewaterhouseCoopers di produrre una “Analisi strategica del mercato sulla riduzione della dipendenza da fornitori di software unici“.

Horst Seehofer

Conclusione dello studio: La Germania si trova in una situazione di forte dipendenza da Microsoft in particolare.

Questa dipendenza si traduce in “punti di pressione all’interno del governo federale, che lavorano in opposizione agli obiettivi strategici del governo in tema di tecnologia dell’informazione“, osserva il rapporto. Le preoccupazioni sulla sicurezza delle informazioni in Microsoft potrebbero “mettere in pericolo la sovranità digitale del paese”.

La relazione delinea inoltre varie opzioni di miglioramento, tra cui la definizione di un quadro di regole per l’uso futuro di altri software, in particolare il software libero.

Questo rapporto è ancora più importante perché in Germania aveva fatto scalpore quando la città di Monaco era passata a workstation Open Source nel 2006… prima di tornare a Microsoft nel 2017, scatenando con questo passaggio un’accesa polemica.  

L’attuale doloroso contesto mette in luce su ciò che già sappiamo. La chiusura delle frontiere, il ripiegarsi su sé stessi della maggior parte dei paesi, l’evidente e consapevole egocentrismo degli Stati Uniti (di cui recentemente hanno dato nuova dimostrazione su un argomento d’attualità) sono tutti richiami all’importanza di preservare la nostra sovranità. La sovranità digitale ne fa parte e richiede la scelta di soluzioni locali non egemoniche. Ma per concretizzarla è necessario farne la scelta e assumersi la responsabilità degli sforzi che ne conseguono. È il potere degli acquirenti, dello Stato e delle direzioni!

Conclusione

Il posto di lavoro utente è uno degli ultimi bastioni che resiste ancora alla progressione costante dell’Open Source nelle aziende. Una constatazione ereditata da diversi decenni di confinamento negli strati tecnici ma anche da un’immagine tenace (e giustificata!) di dominio esoterico, riservato agli addetti ai lavori.

Le cose hanno già cominciato a cambiare con molte iniziative per sviluppare e confezionare soluzioni Open Source complete, come nel caso del Digital Workplace, o della v4 di BlueMind, compatibile con tutti gli scenari di utilizzo e dotata di un ampio ecosistema intorno al prodotto.

Le competenze e le soluzioni stanno arrivando o già ci sono, rese disponibili da sviluppatori Open Source con un modello di business adeguato.

I CIO e le direzioni hanno il loro ruolo da giocare e le carte in mano. Il contesto attuale mostra che il cambiamento, anche se momentaneamente sgradevole, può essere accettato quando la posta in gioco ne vale la pena!

Rimane da capire quale indipendenza digitale vogliamo per le nostre aziende e la nostra società! #ANoiLaScelta

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Pierre Baudracco

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